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27/12/11

Focaccia di Recco

Origine: Liguria

Recco - Il litorale

Focaccia di Recco
Portata: Cibo di strada

Collezione: Ricette da guardare

Collezione: Ricette da leggere

Ingredienti:
  • 1 kg di farina "00" rinforzata o manitoba
  • 1 dl di olio di oliva
  • sale q. b.
  • 5 dl di acqua
  • 2 kg di crescenza freschissima
Preparazione su tegame di rame:

Focaccia di Recco

"Questa è la preparazione ufficiale dell'Autentica Focaccia col Formaggio, ma è certo che i fornai di Recco hanno qualche loro segreto che bene si sono sempre guardati dal lasciarsi sfuggire.
Infatti, malgrado gli stessi ingredienti utilizzati, difficilmente la focaccia col formaggio cotta nel nostro forno sarà tale a quella [squisita] che si può acquistare nella bella cittadina ligure".
  1. Preparare gli ingredienti, formare un impasto con farina, versando un pò di olio d’oliva aggiungete il sale ed infine l’acqua lavorate a mano [potrete farlo anche con l’impastatrice] sino a quando l'impasto risulterà morbido e liscio. Farlo riposare per circa 60 minuti in temperatura di circa 18/20° e coprire.
  2. Dopo aver lasciato riposare l'impasto per 60 minuti, dividete l’impasto per prelevarne un pane di circa 1/2 chilogrammo e "tirarlo" leggermente con il mattarello rendendo la pasta sottile. Mettere le mani chiuse a pugno sotto la sfoglia e, ruotandola, allargarla e renderla più sottile possibile.
  3. Appoggiarla sulla teglia di rame precedentemente oliata.
  4. Quindi deporre sulla sfoglia la crescenza in piccoli pezzi [circa una noce per ciascun pezzo] in senso circolare.
  5. Fare una seconda sfoglia molto sottile (quasi trasparente) con lo stesso procedimento della prima e ricoprire la teglia con la sfoglia di base già cosparsa di crescenza.
  6. Chiudere le estremità delle due sfoglie in modo che i bordi sovrapposti risultino ben saldati ed eliminare la quantità di sfoglia [sopra e sotto] che fuoriesce della teglia.
  7. Con le dita pizzicare più punti della pasta formandovi dei fori della grandezza di circa 1 centimetro.
  8. Cospargerla di sale ed irrorarla con olio d'oliva.
  9. Cuocere in forno alla temperatura di 270°/320° per circa 7 minuti, o a 220° per 15/20 minuti circa, comunque quando la focaccia non avrà un bel colore dorato.
  10. Il forno deve essere regolato in modo tale che il suolo sia più caldo del cielo del forno. La cottura sarà ultimata quando la focaccia avrà un colore dorato sopra e sotto.
Nota:
  • La notorietà di questa città ha da tempo varcato i confini nazionali, un fatto dovuto in buona parte a quella prelibatezza chiamata Focaccia "col" Formaggio ["al formaggio sono le altre versioni non autorizzate, spesso neanche lontane parenti, che sono fiorite fuori Recco sull’onda del successo dell’originale].
  • Si narra che questo prodotto esisteva già all’epoca della terza crociata.
  • “Era la Pentecoste di rose dell’anno 1189… la cappella dell’Abbazia di San Fruttuoso accoglieva i crociati liguri per un solenne Te Deum prima della partenza della flotta per la Terra Santa… Sulle bianche tovaglie di lino ricamate facevano bella vista i piatti di peltro e di rame, zuppiere di ceramica e di coccio colme di ogni bendidio: pagnotte di farro ed orzo impastate con miele, fichi secchi e zibibbo, carpione di pesce, agliata, olive e una focaccia di semola e di giuncata appena rappresa (la focaccia col formaggio)…”
  • Questa ricerca su testi storici venne presentata nel 1997 dal Consorzio Recco Gastronomica allorchè venne registrato il marchio “Autentica Focaccia col Formaggio di Recco”, una difesa voluta per il continuo ed incontrollato sviluppo della diffusione di questa specialità gastronomica senza alcuna regola precisa.
  • Recco è una cittadina che sotto il profilo dalla ristorazione ha pochi eguali in Italia, basti pensare che in questa cittadina di diecimila abitanti l’offerta della ristorazione è superiore ai tremila coperti.
  • Si narra inoltre che in tempi lontanissimi la popolazione recchese si rifugiava nell’immediato entroterra per sfuggire alle incursioni dei saraceni.
  • Grazie alla possibilità di disporre di olio, formaggetta e farina, cuocendo la pasta ripiena di formaggio su una pietra d’ardesia, venne “inventato” quel prodotto gastronomico che oggi conosciamo come “Focaccia col Formaggio”.
  • Alla fine dell’800 aprono a Recco le prime trattorie con cucina, ed a quei tempi la “Focaccia col Formaggio” veniva proposta nel periodo di celebrazione dei morti.
  •  La tradizione della focaccia continua nei tempi ma solo dagli inizi del nevecento viene proposta d’abitudine ai visitatori di Recco e non più nel giorno dei morti.
News del 15/07/2011:
  • Focaccia con il formaggio di Recco verso l’Igp. Il ministero delle Politiche Agricole ha presentato, questa mattina negli uffici della Regione Liguria, la certificazione europea Igp, Indicazione Geografica Protetta, per la focaccia con il formaggio di Recco. Il disciplinare che ne regola ingredienti e produzione sara' pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Entro l'estate, quindi, la famosa focaccia potra' fregiarsi del riconoscimento Igp su tutto il territorio nazionale.
  • Rispetto del disciplinare - Questo comportera' il divieto assoluto per chiunque di scrivere nei menu' e offrire focacce con formaggio 'tipo Recco'. Pena l'intervento dell'antifrode. ''Nel corso degli ultimi anni - spiegato l'assessore regionale all'Agricoltura, Giovanni Barbagallo- la Regione Liguria ha lavorato sulla proposta di utilizzare il latte proveniente da allevamenti liguri da trasformare in crescenza. I buoni risultati della sperimentazione sulla capacita' di resa latte-crescenza, la resistenza al trasporto e alla sua durata, hanno dato vita a un vero e proprio accordo di filiera tra produttori zootecnici, trasformatori, panificatori e il Consorzio. Un'azione di marketing territoriale che ha dato buoni risultati e sostenuto i territori,a cominciare dagli allevatori"
Qualcosa su Recco:

Recco

Il lungomare - Recco

  • 16 settembre 1861
"Oggi si va per mare. L’oste ha noleggiato una grande barca a vela con un equipaggio composto da un capitano, un giovane di circa diciotto anni e quattro ragazzi. Questa mattina non si vedono altre barche  in questo tratto di mare. Qui a Chiavari ci sono dei cantieri che costruiscono navi per la lunga navigazione, il piccolo cabotaggio e la pesca è affidata agli uomini di Sestri e La Spezia.
L’attività economica della zona chiavarese è rivolta all’industria e all’artigianato. Quasi ovunque si vedono delle piccole case davanti alla quali sono accatastate a dozzine quelle sedie leggere e resistenti vendute poi di paese in paese per tutta la riviera. Avanti! L’oste aiuta a spingere la barca, i ragazzi in acqua ritmano a gran voce la spinta, mentre il giovanotto la fa scivolare sulla sabbia, i muscoli si gonfiano, ancora una spinta. Allegri! Eccoci qui. I ragazzi gocciolanti salgono sulla barca. Il vento è buono. Oscilliamo dolcemente, affondiamo le mani in quest’acqua azzurra, sfioriamo le creste delle onde, respiriamo una brezza umida. Qualche vela compare e scompare dietro a un promontorio. Laggiù un vapore corre su un mare verde. Niente ci ridarà questa pace, né questa immensità. Intanto il vento si è un po’ placato e la barca non va avanti. I ragazzi provano allora con i remi che non riescono ad affondare nelle onde, ma strisciano sulla superfici inondandoci. I ragazzi ridono a crepapelle. Vediamo la riva scivolare lentamente. La lunga fila di agavi a stella a rifinirla. E si vede Lavagna distesa lungo la spiaggia con le sue casette, le cui facciate sono in questa stagione ricoperte di gialle pannocchie di granoturco per farle seccare. Dietro le case dondolano argentei ulivi. Qualche chiesa bianca ci guarda attraverso i carrubi, una torre costruita sulla roccia affonda la sua base sull’acqua. Sullo sfondo gli Appennini innalzano le loro cime spoglie.
  • 19 settembre 1861
"Ecco Recco! Dalle finestre pendono drappi che il vento solleva e strapazza. Sulla piazza è stato innalzato il gonfalone blu-celeste con la scritta 'San Michele, protettore della marina di Recco' vi è raffigurato il santo che con atteggiamento distratto calpesta il drago, che apre le fauci rossastre fino alle orecchie. Le campane della chiesa suonano a distesa una dopo l’altra in un concerto pieno di brio. Lungo le strade, dove passerà la processione,  i muri sono tappezzati  di stoffa rossa.  Gli uomini vestiti a festa, sul capo un feltro nero con una piuma, scortano i gruppi sorridenti delle ragazze, ornate con il pezzotto. Albergo e trattoria de “ il Gran Colombo” dipinto in un azzurro che sfida il cielo, spicca sul fondo della piazza. Il proprietario, un uomo piccolo e tozzo, non ha risparmiato sui colori chiassosi né sulla scritta enorme."
“Signore, entriamo”
Il gruppo pur essendo “roba da palazzo” è qui “roba da trattoria”.
Si sale una scala senza finestre e si arriva in una cucina dove siede l’oste. Vi preparerò un pranzo speciale, vedrete”  Mentre si riscaldano i fornelli noi andiamo alla spiaggia. Il mare emana un fascino straordinario e lo si contemplerebbe per ore senza mai annoiarsi: come una muraglia trasparente si gonfia e precipita, è minaccioso, è furioso; si sfrangia sulla cima dell’onda poi s’abbatte e viene a morire sulla riva che ricopre della schiuma cangiante. E il tempo passa e le ore scivolano via rapidamente e si capisce quanto siano privilegiati questi popoli che vivono lungo le rive del mare. Trascorrono le loro giornate sulla spiaggia, ascoltando il rumore del mare, vivono di aria, di luce, di qualche frutto e d’un piatto di maccheroni. Rientrano a sera nelle loro casupole, ma il mattino li ritroverà ancora in quel palazzo dai candelabri di agavi, dalle colonne di palme, dai cuscini di lavanda, dalle culle di aranci, dalla vasca immensa, le cui acque vanno ad abbeverare le spiagge della terra dei Faraoni. Due o tre spari ci fanno ricordare che siamo a Recco e a Recco c’è una trattoria e nella trattoria è pronto un pranzo per noi. E adesso vi racconto che cosa abbiamo mangiato. Delle costolette ben pestate, delle patate a pezzetti fritte nell’olio, dei fichi, dell’uva, delle castagne e i famosi funghi a fette sottili, di colore biancastro, poco rassicuranti, forse velenosi. A proposito di questi, solo i disperati li gustano con piacere, coloro insomma che pensano che dopo aver visto Recco non c’è più niente di meglio e si può anche esalare l’ultimo respiro In realtà tutti divoriamo tutto, nessuno muore. Alla fine del pranzo il piccolo oste trionfante viene avanti con la sua aureola di capelli crespi. Come avete trovato il mio pranzo, lor signori? E i funghi? Buoni, vero? E questa pietanza e quella?Tutto eccellente, straordinario! Ma che cosa è mai questa pietanza? E quella?
L’oste è raggiante, poi: E’ della pancia di vitello! E’ della pancia di vitello farcito! [La cima] "In quella invece io ci ho messo tante cose: del cervello [e si batte il pugno sullo stomaco] dei visceri [altro colpo] della lingua di maiale [colpo sullo stomaco] dell’orecchio, del cuore, del rognone, del fegato, dello zampetto di maiale!La banda rischia di scoppiare a ridergli in faccia e allora per darsi un contegno chiede a gran voce del caffè. L’ostessa si fa avanti portando un vassoio con dei bicchieri da liquore e una brocca colma di un intruglio indefinito e che viene versato nei bicchieri.
Quando è l’ora di partire, riprendiamo il viaggio il più lentamente possibile per prolungare un po’ di più la gita. Il giorno ormai declina e gli Appennini sono avvolti nella luce rossa della sera. Lungo la strada si incrociano carrozze e pescatori che vanno a raggiungere le proprie famiglie. Sulla soglia di ogni casa c’è qualche giovane madre che fa giocare il proprio marmocchio. Non c’è un’insenatura dove non si vedono bambini giocare e saltare nell’acqua. E qua e là si scorgono quelle grottesche case dipinte a colori chiassosi così fuori dai canoni comuni, così belle!..
  • E su Genova
Il porto - Genova

E tu Genova, sei a pieno titolo la Superba!
Non ci si stancherebbe mai di oltrepassare le tue porte affacciate sul mare per ammirarti sotto un cielo terso e luminoso; di fermarsi stupiti a guardare i tuoi palazzi marmorei e le fontane zampillanti, di camminare tra la folla eterogenea di marinai e di belle ragazze, a piedi nudi, dall’aria disinvolta; di perdersi nei tuoi vicoli, dove passa l’esistenza tanta gente felice di vivere! Che confusione, quanta gente. E’ forse un giorno di festa? Si vedono i pescatori col berretto rosso sul capo ricciuto, correre veloci verso le loro barche, delle belle ragazze con il capo avvolto in un fazzoletto di cotone, dei robusti ragazzi che ritmano a voce alta il trasbordo delle mercanzie, i negozi scintillanti e affollati. Dietro ai cancelli dei palazzi le cariatidi, gli alberi rigogliosi, il mormorio delle fontane. In questa ampia strada imponenti equipaggi  lanciati a grande velocità e tutti i rumori tipici di una ricca città. 

Questa è Genova! La Genova di ieri? Così effervescente, così viva, così affascinante? “Si, signore mie, Genova è così. La Genova di ieri, di domani, di tutti i giorni, fatta eccezione quando piove.”
Prodotti storici liguri:
Baciocca ligure

Trofie

Pansoti
Farinata
Pesto
Pandolce genovese
Olive taggiasche
Olive nere
Prescinseua


La Prescinseua, Prescisöa o anche Prescinsêua [secondo le declinazioni dialettali locali], è un formaggio tipico della Liguria – in particolare nella Riviera di Levante – ed è conosciuta già nell'Alto Medioevo. In verità, più che un formaggio, nella accezione corrente più comune di questo prodotto, si presenta come una cagliata limitatamente acidula e fresca con la consistenza e l'aspetto simile allo yogurt, ma questo non è in quanto mantiene comunque una pur minima consistenza.

Basilico Genovese

Il Basilico Genovese si distingue per le sue foglie di dimensione medio-piccola, con forma ovale e convessa ed il colore verde tenue che le caratterizza.

Il Basilico Genovese è indicato con le lettere maiuscole della dicitura ufficiale e si riferiscono alla nomenclatura originale attribuita dal Ministero per le Politiche agricole di concerto con la UE ed è un prodotto ortofrutticolo a Denominazione di Origine Protetta. In Liguria la coltivazione è molto diffusa e a Genova c’è uno specifico quartiere chiamato Prà, dove viene coltivato fino dall’antichità ed è rinomato per la sua qualità, particolarmente indicata per la preparazione del classico pesto, il condimento tipico della cucina ligure adatto a confezionare uno svariato numero di piatti asciutti e speciali tartine e focaccette.

Involtini di lampredotto con carciofi e mortadella

Portata: Cibo di strada

Origine: Toscana

Collezione: Ricette da leggere

Collezione: Ricette da guardare
Lampredotto

Nota:
  • Ho trovato questa ricetta sul blog del noto critico gastronomico fiorentino Leonardo Romanelli, e dopo averla provata non ho potuto resistere alla tentazione di riproporla.
  • Leonardo Romanelli è una delle anime moderne della cucina toscana, verace e attaccato ai valori della tradizione sa coniugare la coerenza delle cucina tradizionale con quel giusto apporto di modernità ed innovazione.
  • La sua ricetta di involtini di lampredotto rappresenta un modo nuovo di servire un piatto tipico toscano, e può contribuire alla diffusione della cultura del quinto quarto troppo spesso disprezzato nella cucina moderna.
Ingredienti per 4 persone:
  • 500 grammi di lampredotto
  • 4 fette di mortadella
  • 200 grammi di scamorza molto fresca
  • 4 carciofi
  • passato di pomodoro
  • farina
  • olio extravergine
  • 2 spicchi aglio
  • 2 foglie salvia
  • 1 rametto ramerino [rosmarino]
  • 2-3 cucchiai prezzemolo tritato [per guarnire]
  • sale
  •  pepe nero
  • brodo vegetale
Preparazione:
  1. Per fare bene questa ricetta occorre scegliere un pezzo di lampredotto più regolare possibile, da cui ricavare otto fette di simili dimensioni.
  2. Con il batticarne schiacciare le fette di lampredotto cercando di renderle tutte dello stesso spessore, facendo attenzione a non romperle.
  3. Saltare i carciofi puliti e fatti a fettine molto sottili in una padella con un filo d'olio ed uno spicchio d'aglio schiacciato, non cuocerli troppo ma saltarli appena quel tanto che basta da levargli il "crudo", lasciandoli comunque croccanti. Salate e pepate e lasciate intiepidire.
  4. Disporre su ogni fetta di lampredotto una mezza fetta di mortadella e delle fettini sottili di scamorza, poi aggiungere una cucchiaiata di carciofi.
  5. Formate ora gli involtini con ciascuna fetta, fermandoli con degli stuzzicadenti. Fate attenzione a chiuderli bene perchè il formaggio poi tenderà ad uscire altrimenti.
  6. Scaldate in una padella [potete riutilizzare quella in cui avete saltato i carciofi] un po' d'olio con un paio di spicchi d'aglio schiacciati [in camicia se preferite un gusto meno deciso], un paio di foglie di salvia ed un rametto di ramerino.
  7. Passare gli involtini uno per uno in un piatto con un po' di farina, e metteteli a rosolare nella padella a fuoco vivace, girandoli per farli prendere colore da tutti i lati.
  8. Aggiungete una mestolata di brodo vegetale bollente [mi raccomando, non fatelo con il dado!].
  9. Per fare un ottimo brodo vegetale bastano pochi minuti, si butta una carota, mezza cipolla e un gambo di sedano nell'acqua, magari insieme a una manciata di gambi di prezzemolo, e si fa bolire per un quarto d'ora, fate evaporare per qualche minuto e poi togliere gli involtini dalla padella e teneteli da parte.
  10. Aggiungere ora il passato di pomodoro in padella e fate sobbollire per 15-20 minuti a fuoco moderato, regolando di sale e pepe.
Firenze - Ponte vecchio [sull'Arno]

    
    Ponte vecchio ripreso da un lato
  • A questo punto aggiungete al sugo gli involtini, giusto per farli riscaldare, e servire con abbondante prezzemolo tritato molto caldi.
Firenze - Il Duomo


Nota:
  • Gastronomicamente il lampredotto a Firenze è un’istituzione, una leggenda presente quotidianamente per le strade della città sui “banchini dei trippai”, questi piccoli chioschi su quattro ruote, che sono i baluardi di una tradizione popolare conservata nel tempo sotto l’ombra di antichi palazzi e grandi opere d’arte.
  • Il lampredotto non è cibo da turisti: è cibo di strada. Racconta, cioè, della storia e della vita di un popolo, che per quelle strade è passato e in esse ha vissuto.
  • Viene servito dai trippai nel toscanissimo panino chiamato semelle con l’aggiunta, secondo il proprio gusto, di condimenti a scelta, che vanno dal semplice sale e pepe, alla classica salsa verde, fino ad arrivare all’olio piccante. Per ultima, vi aspetta la rituale domanda del trippaio fiorentino: lo vuole bagnato?
  • Rispondete di sì.
  • Tufferà così nel sugo del pentolone la calotta superiore del panino, che vi sarà così servito gustoso e gocciolante.
Storico trippaio in via Gioberti


Non solo trippai:

Trippai di un tempo




Trippaio di un tempo

Gli ultimi baluardi di questo cibo povero e popolano sono i “banchini dei trippai”, come li chiamano a Firenze.
Un tempo erano carretti di legno, dipinti con colori sgargianti, condotti a mano o appoggiati su tricicli a pedali.
Oggi sono piccoli chioschi su quattro ruote, tutti di acciaio, lindi e sterili, ma con ancora intatto il loro fascino gitano.
Portano in giro per Firenze il pesante carico di trippe e di storia.
In bella mostra, a un lato del banco, in mezzo a verdure fresche, limoni e insalata, i venditori offrono la loro mercanzia: lampredotto, trippa e poppa [la mammella del bovino] già bolliti e pronti per essere cucinati dalle massaie tra le mura domestiche, in una miriade di ricette.
Sull’altro lato del banco bollono due pentole piene di brodo, nelle quali cuociono, insieme a pomodori, carote, prezzemolo, cipolla e patate, grandi pezzi di lampredotto, destinati a una fine gloriosa: farcitura succulenta in mezzo a panini croccanti. 

Trippai come superstar:

Panino con lampredotto





Panino con lampredotto

Gli ultimi araldi di questa tradizione culinaria fiorentina hanno nomi conosciuti in città, sono famosi e più amati di Michelangiolo Buonarroti, fedeli ai colori e alla tradizione gastronomica della città gigliata. Miro Pinzauti, Fulvio Laporta, Orazio Nencioni, Fabrizio Giannelli, Andrea Zinci non sono solo “trippai”; non si limitano a preparare superbi panini con il lampredotto, ma rappresentano l’ultimo anello della tradizione popolare fiorentina.
Miro Pinzauti, Fulvio Laporta, Orazio Nencioni, Fabrizio Giannelli, Andrea Zinci non sono solo “trippai”; non si limitano a preparare superbi panini con il lampredotto, ma rappresentano l’ultimo anello della tradizione popolare fiorentina.
Il loro panino è un rito, è uno slow-food fatto di sapori, di chiacchiere, di pause e di commenti, di buoni e sani bicchieri di Chianti.
Il panino va mangiato sul posto, tra i discorsi degli avventori, in mezzo alle battute salaci e pungenti, tra la raffinata atmosfera rinascimentale e la semplice voglia di discutere su ogni argomento: il calcio, la politica, il tempo.

Firenze - Mercato Centrale

Firenze - Mercato centrale
Il mercato centrale di Firenze è situato in centro, tra via dell'Ariento e Piazza del Mercato Centrale.
Si trova all'interno di una grande struttura liberty in ferro e vetro costruito nel 1870.
Nelle vie che costeggiano le struttura vi è un mercatino permanente di bancarelle che vendono artigianato, magliette, bigiotteria, borse in pelle e tanti altri articoli.
Un'altra particolarità è la valorizzazione delle frattaglie: ci sono almeno 4-5 "tripperie" che vendono qualunque taglio del quinto quarto del bovino: dalle mammelle [le "poppe"] alla matrice [l'utero], passando per il pene e i testicoli del toro, la trippa, il lampredotto [il quarto stomaco del bovino].
Un simpatico trippaio mi dà una dimostrazione del mitico [forse un po' macabro] "sense of humor toscano" consigliando il "misto Pacciani", e potete immaginare quali siano gli ingredienti.

Il cinghiale al di fuori del Mercato Centrale, Firenze